Nell’era in cui la parola Influencer è sulla bocca di ogni marketer è importante fermarsi a riflettere sul significato stesso della parola, e spostare il focus dalla quantità alla qualità.
I profili in grado di portare un reale valore al brand sono quelli che hanno alle spalle una community di utenti entusiasti e fidelizzati e che riescono a mantenere l’autenticità del messaggio che veicolano.
Contest e concorsi sono un modo efficace per tracciare una vera e propria conversione e verificare l’appeal del contenuto dell’influencer sui propri follower, ma nella pratica come avviene? Come si selezionano i profili giusti?
Per approfondire questi temi, abbiamo fatto una chiacchierata con Alessandro Cola CEO di Xplace, il quale insieme al suo team ha gestito diversi contest usando la piattaforma di Leevia per la creazione e management dei concorsi in modo legale in Italia, e abbiamo scoperto che molto spesso il termine Influencer è talmente fuorviante che il primo passo per una strategia efficace e condivisa da agenzia, cliente e (non) influencer appunto è la distinzione Creator ed Engager…
- Ciao Alessandro, puoi spiegarci la differenza tra Influencer e Brand
Ambassador?
Partiamo dal fatto che il termine stesso “Influencer” appare come una contraddizione: autoproclamarsi come tale innanzi tutto ti smaschera, è come se stessi ammettendo di avere una capacità che in realtà sono gli altri, il tuo pubblico, ad attribuirti. Molto spesso si finisce per confondere l’influencer con il classico testimonial, dimenticandosi che psicologicamente entrano in campo due processi diversi: quando si ha a che fare con profili di persone famose, vedi ad esempio Chiara Ferragni, non si parla di semplice influenza, ma più di emulazione; questo processo “premia” sulla corta distanza, ma quello di cui un brand ha davvero bisogno è un pubblico che lo segua nel tempo, che continui a sceglierlo. Perché questo avvenga è necessario che il brand affidi la propria narrazione ad un Brand Ambassador che sposi i suoi valori e se ne faccia portavoce in modo autentico. All’Xplace pensiamo sia più giusto parlare di Creator o di Engager, distinguendo i vari profili in base al talento che li caratterizza: diciamo che i Creator sono persone in grado di creare contenuti unici ed originali, raccontando un brand in modo inatteso, mentre gli Engager sono tutti i professionisti con un talento naturale per la relazione, che hanno alle spalle una community affiatata e fedele di utenti.
- Quali sono i criteri per cercare il Creator più adatto ad un contest?
Beh, non c’è una risposta univoca a questa domanda, dipende dalla strategia, dall’obiettivo in base al quale viene impostato il contest. Accade spesso che un’azienda che cerca influencer non sappia bene cosa sta davvero cercando: i più cercano visibilità senza sapere che non è davvero importante, molti vogliono lead e molti invece vogliono belle foto, contenuti validi. Nell’ambito di un concorso generalmente si ha bisogno di Engager, i talenti delle relazioni digital che fanno da cassa di risonanza all’attività, poi ovviamente dipende dalla piattaforma: come tutti ormai sanno ogni social parla la sua lingua e ha i suoi codici, anche questo influisce nella fase di selezione dei profili.
Approfondisci leggendo Perché l’Influencer marketing (non) funziona
- Secondo te, quali sono le KPI da tenere in considerazione?
Se parliamo di Creator, paradossalmente una misurazione numerica dei risultati non è importante: in questo caso il focus è sulla validità del contenuto per l’azienda che lo richiede. L’importante è che sia in linea con lo storytelling del brand, i numeri passano in secondo piano.
Le metriche numeriche servono solo per gli Engager, perché dopotutto vengono selezionati per il risultato che sono in grado di portare, per gli utenti che riescono a coinvolgere: in questo caso è possibile, anzi necessario, tracciare le conversioni.
- Come fate voi di Xplace a monitorare le KPI?
Recentemente abbiamo deciso di trasferire la community Xsiders all’interno di un’area digital dedicata, che si erge sull’impalcatura della piattaforma eletta tra le 5 migliori al mondo per la gestione delle Digital PR: CreatorIQ. Grazie ai suoi sistemi di artificial intelligence, gestiamo centinaia di profili contemporaneamente, su diverse campagne, in modo fluido e veloce dalla fase di selezione alla produzione report. In
più CretorIQ ci permette di avere accesso alle statistiche relative alla specifica campagna: in questo modo abbiamo sempre la situazione sotto controllo e, agganciando la campagna a Google Analytics, possiamo tracciare le conversioni per ogni singolo contenuto pubblicato, ottimizzando strategia e output creativo in funzione del risultato.
- Cosa consigli a chi vuole iniziare una campagna di Digital PR per far diventare virale la propria iniziativa?
Innanzitutto consiglio sempre di lasciar perdere il concetto di viralità: un contenuto non nasce virale, non esiste una formula segreta per far sì che questo avvenga, tutto è lasciato al caso e accade in modo spontaneo. Basta guardare quali contenuti diventano virali in questo momento nei social per rendersene conto. Trovo quindi opportuno considerare che la viralità non è davvero utile quanto si pensa: ad un brand interessa piuttosto raggiungere un pubblico che sia in target, realmente
interessato a ciò che ha da offrire, un pubblico, appunto, in grado di generare conversioni e un reale ritorno, sia esso economico o di immagine. È dunque chiaro che la chiave è nella relazione, per questo più che di Influencer marketing è giusto parlare di Digital PR, e a livello di strategia è cruciale saper valutare quanto profonde siano queste relazioni. L’analisi quantitativa è quindi sempre al servizio di quella qualitativa, ma è necessario prendere in considerazione le giuste metriche e, ovviamente, saperle interpretare.