Non è una novità che l’intelligenza artificiale rappresenti un potente strumento che può aiutare le aziende a ottimizzare sia i processi interni che le interazioni con i consumatori. In questa nuova MMR, esploriamo come l’AI può essere un prezioso alleato nella creazione di relazioni solide e durature con prospect e clienti.
Un circolo virtuoso
L’intelligenza artificiale è una grande opportunità per le aziende, soprattutto quando integrata nel processo di relazione con gli utenti. Infatti, le sue potenzialità sono praticamente infinite e consentono di costruire percorsi di valore per le persone che interagiscono con il brand. Ma cosa permette all’AI di essere realmente performante? I dati.
“Data is more like water than oil. In order for AI to have real impact, your data needs to be clean with a traceable lineage.” – Jacqueline Woods, CMO di Teradata
Come in un circolo virtuoso, le informazioni correttamente mappate e rilasciate in modo consensato dagli utenti, saranno utilizzate per alimentare l’AI, che li analizzerà in modo rapido ed efficiente e restituirà un prospetto sui comportamenti futuri degli utenti. Grazie alla capacità predittiva dell’AI, le aziende possono anticipare i bisogni e le preferenze dei clienti e offrire esperienze che non solo aumentano l’engagement e la loro soddisfazione, ma contribuiscono anche a migliorare la fedeltà verso il brand, ottimizzando al contempo gli investimenti e massimizzare il ROI.
L’AI può essere utilizzata per la personalizzazione dell’esperienza, elemento chiave delle strategie di marketing di successo. L’intelligenza artificiale analizza i dati degli utenti per comprendere i loro interessi, preferenze e comportamenti. Questo consente alle aziende di creare percorsi su misura per ciascun individuo, offrendo contenuti, prodotti o servizi che rispondono alle loro esigenze.
Creare esperienze di valore per ciascun cliente permette di costruire relazioni che vanno oltre la mera transazione. La personalizzazione non si limita alla fase di vendita, ma deve permeare tutti gli step del ciclo di vita del cliente. Ogni punto di contatto tra il brand e l’utente deve essere coerente rispetto ai valori aziendali e personalizzato in base agli interessi della persona che sta interagendo con il brand, con l’obiettivo di creare un’esperienza che sia coinvolgente e significativa, basata sui reali interessi dell’utente.
Affinché le esperienze siano valoriali, è importante che siano anche omnicanali. Offrire un’esperienza integrata e senza soluzioni di continuità consente all’azienda di seguire i consumatori attraverso tutti i punti di contatto fisici o digitali e all’utente di muoversi in modo fluido attraverso il processo di interazione con il marchio. Ma soprattutto gli permette di sentirsi al centro dell’attenzione del brand, che può proporgli l’offerta più adeguata a soddisfare le sue esigenze. Che stia utilizzando l’app, stia ricercando informazioni sul sito web o abbia visitato il negozio fisico per acquistare il prodotto, è fondamentale che l’azienda sappia che si tratta sempre della stessa persona.
No data, no party.
Senza i dati non c’è personalizzazione, né omnicanalità. Oltre alle informazioni socio-demografiche e legate agli acquisti, è importante mappare, raccogliere e analizzare i dati legati al comportamento dell’utente su ogni touchpoint.
Ma in un’era di privacy e di un futuro senza cookie, la sfida è raccogliere e utilizzare i dati in modo etico e responsabile. Le strategie di engagement vengono in aiuto dei marketing manager: sondaggi, quiz, contest e attività premiali, anche slegate dal mero atto di acquisto, permettono di raccogliere preziose informazioni sul proprio target in modo consensato e al contempo stimolano la relazione, mantenendo alta l’attenzione dell’utente nel lungo periodo. I dati raccolti, saranno poi utilizzati per migliorare ulteriormente le strategie di marketing.
Aziende data-driven: a che punto siamo in Italia?
Tutto torna ai dati, che nonostante siano alla base di ogni strategia di marketing efficace, per molte aziende italiane restano un territorio inesplorato. Un recente studio di IKN e Denodo rivela che, sebbene il 70% delle imprese dichiari di voler diventare data-driven, solo il 20% di esse utilizza i dati in modo strategico per guidare le proprie decisioni. Solo il 15% delle aziende si dichiara disinteressato, in generale o trova la sfida troppo complicata.
Eppure, l’interesse per il data-driven è in crescita. Le aziende sono consapevoli dei suoi potenziali benefici: il 16% intravede un miglioramento dell’efficienza organizzativa, il 13% punta a migliorare la customer experience, l’11% spera di aumentare le vendite e altri ancora vedono diverse opportunità.
Ma quali ostacoli frenano la trasformazione data-driven? La sfida principale è la frammentazione e la difficoltà di condivisione dei dati all’interno delle aziende. Per questo motivo, la qualità dei dati e la data governance diventano pilastri fondamentali per il successo di questa transizione.
Per farsi strada nell’attuale contesto di mercato, è fondamentale che le aziende comincino a investire in infrastrutture, competenze e cultura aziendale data-driven. Solo in questo modo sarà possibile promuovere l’innovazione e la flessibilità, elementi fondamentali per affrontare con successo le sfide di un mercato in continua evoluzione.