Achilli ed Egomnia: come una comunicazione efficace può far diventare una startup dal piccolo fatturato il “nuovo Facebook”
Del “Caso Achilli” e del film uscito che ne racconta la vita e le opere (“The Startup”) se ne è parlato spesso negli ultimi giorni. E se ne è parlato veramente in ogni modo e in ogni contesto. C’è chi, nel suo stile, ha ironizzato sul suo successo (KeFuturo?), c’è chi si è solo soffermato sul film e ha cercato di vederne i lati positivi e il messaggio di speranza che dà ai giovani, c’è chi si è scagliato sulla presunta “fuffa” che questo ragazzo rappresenta e infine c’è chi semplicemente è andato sulla piattaforma e l’ha provata (Alessandro Palmisano).
Quindi cosa esattamente si può aggiungere ancora sulla questione?
La riflessione che vogliamo fare, nel nostro stile, è analizzare il “fenomeno Achilli” e individuare quelli che sono gli elementi che possono essere utili da utilizzare in una logica di comunicazione e di “branding”.
Achilli: il ragazzo che aveva una storia
Matteo Achilli è diventato l’emblema del ragazzo che è “riuscito a costruirsi da sé” grazie ad una storia che aveva tutti gli elementi utili ad essere attrattiva per i media. Una famiglia di umili origini (anche se non è proprio così), il padre disoccupato, il figlio che entra nella più elitaria e prestigiosa fra le università private italiane, l’idea che può dare la svolta alle loro vite e la famiglia che investe la liquidazione sul figlio.
Commossi? Certamente, perché la storia, per come è stata raccontata, ha tutte le caratteristiche per coinvolgere il pubblico. La storia di Achilli infatti è simile al “percorso dell’eroe” delle favole (vedi lo Schema di Propp). Una situazione iniziale da cambiare, una “missione” da compiere, un aiuto che viene dall’esterno, le difficoltà per potercela fare, il lieto fine.
Potremmo anche andare oltre, e costatare come anche l’attuale situazione si inserisce perfettamente nel “percorso” che Achilli si sta costruendo: pensare di “avercela fatta”, ma invece ecco arrivare le critiche, le avversità, i molti nemici che ti deridono. Poi ovviamente ci sarà il lieto fine, rappresentato dagli investitori che arriveranno e il nostro Eroe che diventerà finalmente per tutti un imprenditore di successo.
È stato il nostro protagonista a ritagliarsi su misura questa storia?
O sono stati i media a disegnargli intorno il profilo perfetto per descrivere una generazione di ragazzi che hanno l’aspirazione di potercela fare? Probabilmente la verità sta nel mezzo, in quanto è strutturalmente insita nei media la necessità di creare storie con una determinata struttura, per poterle raccontare, mentre dall’altro lato chi ha saputo “vendere” la storia è stato abile a tratteggiarla con gli elementi giusti.
I media e la creazione della narrazione
I media tradizionali hanno infatti la necessità di semplificare le storie che raccontano, per poter raccontarle ad un pubblico più vasto, che non ha necessità di conoscere ogni particolare, e in più deve farlo appassionare alla storia.
Tutto parte da questa copertina, del 2012, di “Panorama Economy” (che, ironicamente, chiuse i battenti proprio quell’anno), copertina e storia che vennero poi riprese nel 2014 anche da BBC e Business Insider, due testate internazionali che fondamentalmente garantirono l’aura del “ragazzo prodigio” all’eroe di questa storia, anche se negli articoli delle due testate i dubbi emergono piuttosto chiaramente.
Ma il solo fatto di esserne citato da testate così importanti ha generato certamente la giusta attenzione perché i media italiani potessero continuare a parlarne, è uno degli effetti della cosiddetta “spirale del silenzio” di Noelle-Neumann.
Il cammino era in pratica disegnato. Già nel 2014, BBC raccontava dell’idea del film basato sulla sua storia, e il resto è cronaca di questi giorni.
I social network?
Qui entrano in gioco i social network, che, se nel 2012 e forse anche nel 2014 non avevano la rilevanza che hanno oggi, nel 2017 occupano un ruolo fondamentale nel poter elevare o affossare un personaggio pubblico.
Alcuni “influencer”, ovviamente, ne hanno parlato quanto più possibile per aumentare la propria notorietà: fa anche questo parte del gioco “di ruolo”, e alcune pagine tematiche hanno iniziato a seguire, fin dai mesi scorsi, l’uscita del film, per poi concentrarsi anche sulla figura del personaggio da cui il film è stato ricavato.
In questa storia rappresenta l’antagonista del nostro eroe. Ogni eroe ha gli antagonisti che si merita, insomma.
Ben presto il fondatore di Egomnia si è visto costretto a prendere in mano la situazione per spiegare molto di quello che era emerso, e l’ha fatto ovviamente con un post su Facebook.
Sotto i commenti sono ambivalenti, fra chi lo considera un venditore di fumo e chi lo sprona a proseguire. Matteo però risponde il più possibile.
A differenza quindi del 2012 o del 2014 la storia che Achilli ha deciso di raccontare, e che è riuscito a far passare sui media tradizionali grazie alle proprie indubbie capacità di comunicazione e ad un ottimo ufficio stampa, è molto più difficile da “controllare” oggi, con la possibilità per chiunque, con un minimo di “notorietà social”, di poter confutare o mettere in dubbio i risultati che dice di aver raggiunto. La storia è diventata più difficile da gestire e il fondatore di Egomnia deve ora adeguarsi e deve riuscire a convincere in prima persona gli utenti finali, cercando di gestire in prima persona la comunicazione attraverso i social network.
“Solo” storytelling?
Capire che essere solo bravi non basta più nel contesto attuale è quello che si può ricavare dal “Caso Achilli”. Saper raccontare e raccontarsi è una skill che una startup o un’impresa di qualsiasi dimensione deve possedere. Lo storytelling e la capacità di raccontare la propria azienda è un requisito oggi fondamentale per poter cercare di ottenere risultati.
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