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Esiste (o dovrebbe esistere) un’etica professionale anche per i social media manager?

Quando George Orwell scrisse 1984 non avrebbe potuto prevedere l’avvento dei social network, né la portata che questi avrebbero avuto sul pensiero comune e sulla percezione (reale o realistica) delle persone rispetto al mondo che le circonda.

Eppure la situazione, per chi si occupa di Social Media, con diverse declinazioni, sta diventando sempre più intricata, dividendo il mondo dei professionisti – un po’ come accadde con la SEO – in due categorie, che potremmo definire anche in questo caso Black Hat e White Hat.

In altre parole, c’è chi gioca secondo le regole (fortunatamente la stragrande maggioranza), comportandosi da professionista e “guadagnando” ogni singolo like, ma ci sono anche alcuni “colleghi” che preferiscono le scorciatoie.

Basta fare una ricerca su Google per trovare decine di siti che vendono account fasulli a prezzi stracciati, siti che promettono “veri like” dal Pakistan, personaggi che creano bot intelligenti in grado di gestire questi account e decine di altri trucchetti per generare la tanto agognata “visibilità” (che poi non si capisce bene che razza di KPI sia la visibilità!).

In pratica, il sistema funziona così:

1) Tizio crea 10.000 account falsi, quindi legati a 10.000 email false. Se Tizio non ha voglia/tempo di creare tutti questi account li può comprare per una cifra modica presso uno dei tanti siti che li vendono;
2) Tizio potrebbe creare un programmino che condivide sui profili social di questi account falsi le notizie postate da qualcuno sul web. In pratica crea un contenuto, lo condivide su una pagina e con gli account falsi genera 10.000 interazioni.

Affinché questo sistema possa funzionare, però, serve che questi account falsi abbiano anche degli amici “reali”, questo per renderli meno facilmente individuabili da Facebook e per creare viralità attorno alla notizia.

Quante volte vi è capitato di ricevere richieste di amicizia da account palesemente fake? Vi sarete certo domandati il perché…

Può sembrare da pazzi, ma a ben pensarci non lo è: basta assumere un paio di stagisti e tenerli incollati al PC a fare queste attività ripetitive, oppure, se si è davvero bravi, creare dei programmi che lo facciano in automatico.

Appare evidente come un link che generi 10.000 interazioni, anche se fasulle, verrà lanciato sui social con una potenza dirompente, per arrivare poi sugli account delle persone reali e generare una Reach molto più alta di quella che avrebbe potuto avere senza trucchi.

Questo sistema funziona davvero, per quanto possa sembrare assurdo. Se siamo un’agenzia (o più spesso un freelance) e ci presentiamo dal cliente con numeri “da paura” difficilmente il cliente sarà scontento e difficilmente vorrà indagare a fondo su come quei numeri siano arrivati.

Allo stesso modo però – e questo è forse l’aspetto più inquietante della faccenda – se fossimo un partito politico (o qualcuno che tifa per un partito politico), potremmo tentare di orientare l’opinione pubblica in un certo senso, pubblicando notizie false e diffondendole utilizzando tecniche simili, come è avvenuto negli USA con la recente elezione di Trump.

Una delle bufale più famose riguarda il falso endorsement del papa a Trump
Una delle bufale più famose riguarda il falso endorsement del papa a Trump.

Il problema è che di questo se ne è accorto anche Facebook e, un po’ come accadde con Google – che a un certo punto dichiarò guerra allo spam e aggiornò i suoi algoritmi più volte, fino a rendere la Black Hat SEO un gioco difficile e pericoloso – dovrà prima o poi correre ai ripari.

Per il momento, a dire il vero, non c’è molto. Esistono dei controlli anti-spam che però non sono abbastanza efficaci. Su Twitter, invece, è ancora più facile, perché esistono pochissimi controlli e creare account falsi in serie è alla portata di chiunque.

In altre parole, tutto quello che i professionisti veri hanno sempre affermato, in un certo senso, decade:

Perché dovremmo spendere soldi e tempo a curare le nostre community, a crescere una fanbase reale coccolandola con dei contenuti di qualità, quando bastano poche centinaia di euro per mettere in piedi un sistema del genere e moltiplicarlo potenzialmente all’infinito?

Ma siamo sicuri che il sistema sia davvero riproducibile all’infinito?

Prima o poi arriverà una mannaia anche da Facebook, perché questi sistemi sono semplicemente contro gli interessi dello stesso Social Network. Come avvenne qualche anno fa per chi guadagnava a palate falsificando le SERP di Google e si trovò da un giorno all’altro con in mano un pugno di mosche, così capiterà ai sedicenti social media manager esperti della falsificazione.

Ma non solo: non vogliamo approfondire qui i motivi per i quali questi sistemi siano in realtà controproducenti o poco efficaci (nessun targeting, fanbase potenzialmente non interessata al brand, etc.), ma in linea di massima se qualcuno vi propone di “acquistare dei like” dovreste dubitare della sua professionalità e rivolgervi altrove, perché il rischio è non solo di buttare dei soldi, ma di crearsi un vero e proprio danno.


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