Il Neuromarketing è una cosa seria: ecco quali sono gli strumenti utilizzati per le ricerche (che poi vengono applicate al marketing)
Il grande successo che sta riscuotendo il neuromarketing in questo periodo è dovuto al fatto che con le sue tecniche ci consente di comprendere e misurare il comportamento umano in maniera più rigorosa rispetto alle tradizionali tecniche di indagine. In questo articolo ti parlerò quindi dei principali strumenti che compongono la cassetta degli attrezzi del neuromarketer.
Nei miei precedenti contributi su questo blog ti ho parlato di come la psicologia e il neuromarketing possono aiutarti per ottimizzare tue attività di marketing ed aumentare le conversioni.
I risultati delle ricerche scientifiche in psicologia ci offrono spesso delle regole abbastanza universali che possono essere applicate ad ambiti differenti da quello strettamente clinico e terapeutico. Questo perché le nostre dinamiche comportamentali ben si adattano a contesti differenti ma che prevedano una risposta personalizzata a uno stimolo sociale o ambientale.
Ad esempio ti ho raccontato come ottimizzare la tua strategia social e come gestire una community con l’aiuto della psicologia; come poter migliorare il tuo content marketing e stabilire un giusto prezzo sfruttando dei principi psicologici.
I risultati delle ricerche di neuromarketing invece sono solitamente meno estendibili ad altri contesti ma quasi sempre ci danno indicazioni più precise. Spesso sono dei veri e propri A/B test che vengono svolti per valutare aspetti molto specifici e vengono utilizzati per rifinire al meglio le strategie e per massimizzare le conversioni.
Ma in generale si possono comunque trarre degli insegnamenti anche dai case study altrui. Trovi qualche esempio in queste ricerche che ho elencato e in questi consigli per impostare i tuoi annunci su Facebook.
Però se vuoi aumentare le conversioni grazie al neuromarketing, l’ideale è fare ricerca direttamente sul tuo prodotto, servizio o sito web.
In questo articolo non ti insegnerò ad utilizzare gli strumenti di cui parlo perché per alcuni servono competenze tecniche particolari. Inoltre gli arnesi della nostra cassetta non sono quasi mai a buon mercato.
Questa panoramica ti servirà però a conoscere il loro utilizzo e le loro potenzialità così da poterli inserire nella tua pianificazione strategica con il supporto dei tecnici che li usano per professione. Anche perché nell’utilizzo di determinate tecniche il rischio di interpretare male la misurazione dello strumento è molto elevato.
Le tecniche di brain imaging
Una serie di strumenti ci permette di accedere in diversi modi alla scatola nera che poggia sul nostro collo: le tecniche di brain imaging ci permettono di comprendere le attività del nostro cervello in maniera non invasiva.
Ciascun tool ci permette di valutare diversi aspetti dell’attività cerebrale, vediamoli nel dettaglio.
Lo strumento più conosciuto è l’Elettroencefalogramma – EEG. Mediante elettrodi applicati al cuoio capelluto misura l’andamento del campo elettrico nella regione cerebrale sottostante: i neuroni con le loro attività producono variazioni di potenziale elettrico che vengono misurate.
L’EEG è molto apprezzato per la sua precisione nella rilevazione temporale poiché riesce ad apprezzare variazioni che avvengono nell’ordine dei millisecondi ma il segnale elettrico del cervello, già piuttosto debole, si disperde per gran parte sulla superficie del cranio per cui la qualità della misurazione ne risente. L’accuratezza della misurazione può migliorare con l’uso di più elettrodi, che permettono di monitorare diverse aree del cranio, ma questa comunque si limita alle aree corticali, più esterne, in quanto non si riescono ad avere buoni risultati con le più profonde aree subcorticali.
L’elettroencefalogramma viene usato prevalentemente per valutare l’attenzione e processi mentali decisionali e di memorizzazione.
Il secondo attrezzo che emerge dalla nostra cassetta è la Topografia a Stato Stazionario – SST. Attraverso materiali traccianti ci permette di avere mappe funzionali del cervello: iniettando un isotopo radioattivo nel sangue lo si può seguire nel suo percorso all’interno dei vasi sanguigni della teca cranica. Le aree cerebrali maggiormente impegnate in compiti cognitivi hanno un maggiore afflusso di sangue in quanto l’attività richiede una maggiore quantità di ossigeno per cui sono maggiormente visibili mediante la SST, che ci consente di avere una mappa del funzionamento cerebrale.
Anche la topografia a stato stazionario prevede l’utilizzo di elettrodi sul cranio, oltre che di occhiali. Consente una misurazione spaziale molto precisa ed è molto utilizzata per la misurazione della memoria implicita, cioè quella procedurale e non consapevole.
C’è poi la Risonanza Magnetica Funzionale – fMRI che è la tecnica maggiormente utilizzata perché consente di vedere con elevata definizione sia le zone che si trovano in profondità che le strutture cerebrali piccole. Anche per questo strumento vale la regola generale per cui al migliorare della qualità della definizione spaziale peggiora la definizione temporale, e viceversa.
Un altro attrezzo che si avvale di un tracciante radioattivo per misurare l’irrorazione sanguigna dei tessuti cerebrali è la Tomografia a Emissione di Positroni – PET.
Vi è poi la Magnetoencefalografia – MEG che misura i cambiamenti nei campi magnetici indotti da attività neuronali. La MEG ha un’alta risoluzione temporale come l’EEG, ma siccome il campo magnetico è meno distorto dal cranio ha una migliore risoluzione spaziale di quest’ultima. Resta comunque poco indicata per misurare la reazione delle strutture subcorticali e dei solchi.
La misurazione degli indicatori biofisiologici
Si possono poi misurare delle reazioni fisiologiche involontarie che vengono generate da processi psicofisiologici. Questi indicatori biofisiologici ci offrono degli elementi per valutare emozioni e sensazioni.
La misura dell’Attività Conduttiva della Pelle – SCA ad esempio può misurare stimoli come la paura: causando quest’ultima una lieve sudorazione che però diminuisce la resistenza della nostra pelle al passaggio della corrente elettrica, misurando tale variazione di resistenza possiamo avere una stima dello stato emotivo della persona.
Anche la variazione dell’attività elettrica cardiaca e del battito cardiaco possono indicare una variazione a livello emotivo e si possono misurare rispettivamente con l’Elettrocardiogramma – ECG e con l’Heart Rate Variability – HRV.
L’Elettromiografia – EMG misura invece le variazioni della tensione muscolare, soprattutto nei muscoli facciali: i dati di questi ultimi possono rivelarci ad esempio la differenza tra un sorriso o di un gesto di rabbia.
Altre misurazioni fisiologiche sono la Blood Volume Pulse – BVP, che misura la variazione del volume del sangue e l’Attività Elettrodermica – EDA, che rileva le variazioni di tensione elettrica rilevabili sulla pelle quali la Skin Conductance – SC e la Skin Resistance – SR.
Vi sono poi degli stimoli di natura chimica e ormonale che possono essere spie misurabili del nostro comportamento. I principali sono:
- La serotonina: l’ormone del buon umore;
- La dopamina: facilita impulsività e aggressività;
- Il cortisolo: usato per determinare l’intensità dello stress;
- Il testosterone: legato al desiderio sessuale;
- La noradrenalina: crea eccitazione;
- L’adrenalina: scatena la tensione e lo stress;
- Le endorfine: sono espressioni di stati di benessere.
Gli strumenti per rilevare gli indicatori comportamentali
Dopo una carrellata sugli strumenti che misurano ciò che accade nella nostra testa e le variazioni del nostro corpo, vediamo gli attrezzi che il neuromarketer usa per misurare i comportamenti apprezzabili dall’esterno.
La tecnica più famosa è senza dubbio quella dell’Eyetracking, i famosi occhialini in grado di tracciare il movimento dei nostri occhi per misurare dove si posa il nostro sguardo e per quanto tempo. La sua utilità è cruciale per comprendere cosa attira la nostra attenzione, il modo in cui trattiamo le informazioni, le nostre strategie di esplorazione, ecc.
Vi è poi il Facial Action Coding System – FACS, il sistema di codifica delle espressioni facciali ideato dagli psicologi Paul Ekman e Wallace Friesen: una classificazione dei movimenti facciali mediante un sistema di action unit che considerano le variazioni delle espressioni facciali e i cambi di direzione dello sguardo e dell’orientamento della testa. La combinazione delle varie action unit copre le circa 10.000 possibili configurazioni facciali possibili dell’uomo.
Sempre per misurare le espressioni facciali si utilizzano i software di Riconoscimento delle Emozioni Facciali – ERS che creano una mappa del viso, individuandone i punti chiave e valutando la loro posizione in base a dei modelli che delineano le varie risposte emotive tipiche.
Come avrai avuto modo di notare, tutti quelli che ho elencato sono strumenti complessi e che vanno utilizzati avvalendosi di personale specializzato al fine di evitare errori di misurazione che porterebbero a risultati inutilizzabili.
Ma conoscerli ti potrà aiutare a comprendere quali arnesi possono aiutarti nel pianificare la tua strategia e per poter ideare test di neuromarketing che siano su misura per il tuo business.
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