Al Mashable Social Media Day (19-20-21 ottobre 2017), si parlerà di Marketing Digitale e innovazione a 360°, con tantissimi interventi e più di 160 relatori.
Tra i 200 talk in programma, però, ne abbiamo scelto uno che ci sembrava particolarmente interessante, per via dell’argomento, che ultimamente sta suscitando molto interesse e di cui si parla molto: l’influencer marketing.
Ne abbiamo quindi parlato con uno dei massimi esperti italiani: Gianluca Perrelli, Chief Marketing Officer e Chief Strategy Officer (CMO-CSO) di Buzzoole.
Per chi non lo sapesse, Buzzoole è una piattaforma che mette in contatto brand e influencer, la prima in Italia a mettere in campo un’intelligenza artificiale per individuare il massimo grado di affinità tra brand e influencer.
L’argomento ci ha incuriosito, così abbiamo deciso di cercare di capirne qualcosa di più, in attesa di assistere all’intervento di Gianluca che, assieme a Fabrizio Perrone, CEO di Buzzoole, il 19 alle 15.50 ci parlerà di “Intelligenza Artificiale e Big Data: il presente e il futuro dell’Influencer Marketing”.
Gianluca, ci puoi dare qualche anticipazione?
«Il nostro intervento al prossimo Mashable Social Media Day andrà a fotografare la direzione che abbiamo preso con Buzzoole per quanto riguarda l’influencer marketing.
Crediamo che il mercato vada affrontato con una logica media e non da digital PR, attraverso un modello di qualificazione ed engagement che dovrà passare per la tecnologia.
Mi spiego meglio: sono i micro influencer, e non le celebrity, gli interlocutori più efficaci in termini di KPI ed engagement, quindi, per poter raggiungere una certa audience, a volte ne servono diverse decine, in alcuni casi centinaia. Di conseguenza, per poter coinvolgere attivamente centinaia di micro-influencer serve una leva tecnologica, soprattutto in fase di qualificazione.
I big data certificano quindi quanto sia efficace, credibile e verticale attorno a un topic, un certo influencer.
Noi lo facciamo attraverso algoritmi che vengono attivati quando un influencer si iscrive alla piattaforma e che analizzano i contenuti pubblicati. Nella fattispecie stiamo andando sempre più verso strumenti basati sull’intelligenza artificiale, per poter attivare in maniera puntuale il giusto influencer per ogni tipo di campagna.
Ma non solo: l’intelligenza artificiale ci aiuta ad abbassare la distanza tra post “organici” e post “sponsorizzati” grazie a delle soluzioni produttive che consentono di capire e interpretare i dati, per identificare in maniera sempre più puntuale l’influencer migliore rispetto al topic della campagna.
Allo stesso tempo questo restituisce dei feedback all’influencer, che lo aiutano a scegliere le campagne più in linea con il suo profilo».
Quello dell’influencer marketing è un campo di azione verso cui le aziende prestano crescente attenzione. Secondo te, come si sta evolvendo e come si evolverà la situazione in Italia?
«In Italia l’influencer marketing è stato sdoganato dai primi fashion blogger. Grazie a loro questi modelli sono entrati da tempo all’interno dei basket di investimento delle grandi aziende e la quota dello spending in questi settori è diventata molto interessante.
Le aziende hanno sperimentato nei primi anni con ottica “spot”, in questo momento però c’è sicuramente una maggior consapevolezza e si fanno anche investimenti di lungo periodo.
Ci sono però dei settori che sono più in ritardo, settori che stanno sperimentando ora, altri che iniziano a vedere i risultati».
Secondo te, l’influencer marketing è adatto alle aziende di tutte le dimensioni, oppure solo a quelle grandi?
«Anche le PMI italiane sono molto interessate all’argomento. L’influencer marketing è nel mirino dei piccoli imprenditori, soprattutto di quelli più giovani e più smart, che ovviamente sono più sensibili a queste tematiche.
L’anno scorso abbiamo fatto poco più del 10% con le PMI, ma quest’anno la quota sta crescendo sensibilmente e ci aspettiamo di raddoppiare a fine 2017».
Il mio dubbio è: a lungo andare, con tutto questo proliferare di messaggi sponsorizzati, non c’è il rischio che si crei della sfiducia nell’utente? Insomma, non si rischia di intasare la rete con messaggi sempre più pubblicitari e quindi sempre meno credibili?
«Io ho una grandissima fiducia nei Millennials e nella Generazione Z: si stanno dimostrando consumatori informati e consapevoli e, di conseguenza, quando compiono un acquisto tendono a condividere le loro impressioni sul prodotto.
Ti racconto questo aneddoto: quest’estate in Corsica ho pubblicato una recensione molto negativa riguardo a un bar, all’interno del quale avevo subito un trattamento a dir poco scortese. Il mio post è stato visto da 250 persone. Con questo puoi fare la tara su quello che potrebbe essere l’effetto dirompente di un influencer.
Detto questo, ci sono delle linee guida che regolano la sponsorizzazione dei prodotti e noi come azienda siamo in prima linea su questo. La regolamentazione già esiste, deve solo essere resa più visibile e più applicata. Buzzoole è una piattaforma: noi mettiamo in contatto i brand con gli influencer, quindi possiamo essere dei portavoce su questo e già lo stiamo facendo.
Ma, al di la delle regolamentazioni, quando un influencer fa un post marcatamente sponsorizzato è il suo pubblico che se ne accorge e perde interesse. Considera che gli influencer fanno quello che fanno soprattutto per vanità, quindi sono attentissimi al loro pubblico, non vogliono deluderlo e non vogliono perderlo.
Per un Influencer la fiducia della propria audience vale molto di più rispetto al reward che può provenire da un brand.
La prassi consolidata è quindi scrivere di temi di cui sono a conoscenza, ovvero scrivere come se non ci fosse dietro un brand a sponsorizzarli. Questo già di per sé costituisce una forma di equilibrio. Un meccanismo che potrebbe anche passare attraverso il rischio di un’inflazione, ma di conseguenza si auto-regola, per via delle scelte che farà un determinato influencer su quello di cui parlare o non parlare.
Insomma, essere credibili e sponsorizzare determinati brand, quei brand che sponsorizzeresti anche se non ci fosse dietro un’azione pubblicitaria: in questo ha fatto scuola Chiara Ferragni, ma non è l’unica ovviamente».
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