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Il personal branding è la cosa più importante per un freelance, tanto quanto le competenze tecniche specifiche per operare in un determinato settore.

Il personal branding, però, contrariamente a quello che si può pensare, non è una banale tecnica di vendita, perché la capacità persuasiva è solo una delle leve da mettere in campo.

La ricetta del personal branding

Anche se si dice “fare personal branding”, non bisogna fare confusione.

Il personal branding non è un’azione, una cosa precisa da fare per ottenere un determinato risultato, ma è un processo complesso.

Come in una ricetta, dove tanti ingredienti compongono la struttura della pietanza, a fare la differenza poi è la mano dello chef.

Se vuoi svoltare come freelance, devi diventare lo chef del tuo ristorante, possibilmente non “Da Gigi”.

Anche se a fare la differenza è la tua maestria, hai comunque bisogno di una serie di strumenti di base, senza i quali potrai solo immaginare il risultato.

Quali sono questi elementi basilari?

  • Un focus preciso;
  • Un target ben definito;
  • Una o più piattaforme dove costruire la tua presenza;
  • Contenuti utili e di qualità;
  • Carisma;
  • Pazienza.

Vediamo insieme come si procede.

#1 – Personal branding: qual è il focus della tua attività?

Uno degli errori più comuni tra i freelance, e che ho commesso anche io all’inizio, è pensare di aggredire un intero segmento di mercato invece di puntare il focus su qualcosa di specifico e verticale.

Se vuoi lavorare nel digital marketing, ad esempio, non puoi pensare di poter coprire tutte le esigenze di un cliente, perché è umanamente impensabile ma soprattutto è controproducente.

Non serve saper far un po’ di tutto, devi saper fare molto bene una cosa e diventare il migliore.

Ecco, so che può sembrare un’esagerazione, una di quelle frasi da coach motivazionali, ma non è così my friend…ehm, scusami, mi è scappato.

Il tuo obiettivo non può essere la mediocrità, dove adagiarti e vivacchiare. Devi puntare a diventare il migliore, e non puoi farlo se offri settordicimila servizi.

Decidi cosa vuoi fare, e specializzati in quello. Meglio saper fare molto bene il data analyst che in modo mediocre il digital strategist e il community manager.

#2 – Personal branding: a chi ti vuoi rivolgere?

Così come non puoi pensare di fare tutto da solo, non puoi nemmeno credere che il tuo target siano tutti, uomini, donne e bambini, 0-99+, tipo i puzzle della Clementoni.

Non intendo parlarti di roba da markettari spinti, tipo le buyer personas o cose del genere, per niente, intendo solo farti ragionare con il miglior tool del mondo: il buon senso.

Riuscire ad individuare un pubblico preciso da raggiungere, potenzialmente interessato ai tuoi servizi, è di fondamentale importanza ma è soprattutto un modo per ottimizzare il lavoro.

Ti spiego meglio.

Accetteresti di avere uno spazio 6×3 nel parcheggio di un centro commerciale ormai dismesso, soltanto perché te lo offrono gratis?

Immagino (e spero) che la risposta sia “ovviamente no!”.

Avere uno spazio a disposizione non vuol dire riempirlo per forza.

Veniamo ad un esempio più concreto e meno eccessivo. Ha senso per un mediatore creditizio avere un profilo Instagram, solo perché lo usano tutti?

Devi parlare al tuo pubblico, non a tutti, sperando che in quella moltitudine emerga un possibile cliente.

Ripeto, il personal branding è prima di tutto una tecnica di ottimizzazione del lavoro, e sprecare tempo e risorse per parlare con le persone sbagliate è la cosa più stupida del mondo.

#3 – Personal branding: dove devi costruire la tua presenza?

Se abbiamo stabilito che è necessario parlare con le giuste persone, va da sé che devi anche scegliere la giusta piattaforma sulla quale costruire la tua presenza online.

In questo caso, però, oltre al target di riferimento, dovrai pensare anche al focus ed al tipo di contenuto che intendi veicolare.

Se sei una fashion blogger, ad esempio, Instagram rappresenterà il tuo canale preferenziale, che risulterà però meno adeguato se, invece, sei un SEO specialist. In questo caso, infatti, dovresti puntare su LinkedIn e Facebook.

Non serve essere presenti ovunque, ma proprio no. Less is more, sempre.

Per quanto riguarda i contenuti, è abbastanza semplice capire perché questi incidano sulla scelta della piattaforma.

Se fai video (perché il 2017 è l’anno dei video, lo sapevi?), ad esempio, non puoi fare altro che scegliere YouTube o Facebook.

Se offri servizi alle aziende, probabilmente ti conviene produrre dei post su LinkedIn sfruttando Pulse.

Se sei un SEO, non hai bisogno di contatti umani perché sei tendenzialmente un sociopatico. Scherzo (ma non troppo!).

#4 – Personal branding: crea contenuti utili per gli utenti

Fissiamo subito un concetto importantissimo: la gente non ti seguirà solo perché sei bravo o bello. Devi dare loro qualcosa in cambio, un contenuto unico, utile e di qualità, che solo tu puoi creare in quel modo lì.

Anche se, oggi, siamo sottoposti ad un overload di contenuti pazzesco, che ci saltano letteralmente addosso in ogni dove, continuiamo stranamente ad averne voglia.

Abbiamo una fame pazzesca di contenuti, di qualsiasi tipo: video, immagini, gattini, gif, infografiche, gattini, podcast, articoli di blog, gattini, panda, eBook, gattini, video corsi, webinar, gattini.

Il problema, purtroppo, è emergere in questa massa oceanica di contenuti. Per riuscirci, hai solo due opzioni: crei contenuti che vale davvero la pena fruire, oppure punti all’ipnosi collettiva.

Nel secondo caso, buona fortuna.

Per creare contenuti utili devi avere bene in mente chi sei, cosa fai, con chi vuoi parlare, cosa cerca il tuo pubblico.

Devi risolvere un problema, né più né meno. Guarda Aranzulla, lui ha preso proprio alla lettera questo concetto, puntando sulla risoluzione dei problemi informatici delle persone, e su questa esigenza ha sviluppato il suo business di successo.

Non ha fatto il contrario.

Se vuoi che la gente si ricordi di te, devi rendere notevole il tuo passaggio.

#5 – Personal branding: l’importanza del carisma

Non puoi costruire un personal branding degno di questo nome se sei carismatico come un loto (comunemente detto cachi :-D).

No, devi essere bello come un fiore di loto, e anche se so che non è il fiore dell’albero dei cachi, mi piaceva comunque il paragone e l’ho usato. Qualcosa in contrario?

Il carisma ti aiuta a fare due cose fondamentali:

  • Catturare l’attenzione;
  • Conservare l’attenzione.

Non è per niente facile, perché l’attention span di un essere umano medio è di 8,5 secondi, praticamente il tempo di uno scroll sullo smartphone.

Pensa ad alcuni esempi, nel digital, di professionisti dotati di carisma che, unito alle competenze specifiche, sono riusciti a creare un seguito massiccio e stabile.

Probabilmente ti verranno in mente i vari Rudy Bandiera, Riccardo Scandellari, Marco Montemagno, Marco Camisani Calzolari, Salvatore Russo.

Ecco, loro hanno saputo sfruttare una caratteristica personale, ovvero la capacità di generare empatia, con il progetto di business che avevano in mente, e sono riusciti a costruire il proprio personal branding in modo efficace.

Il carsima non si può insegnare, ma si può affinare, con il tempo, con lo studio, con la pratica, con l’esercizio costante. Come in The Sims, devi metterti davanti allo specchio e fare le prove di carisma, e migliorare sempre di più.

#6 – Personal branding: ci vuole pazienza!

Come tutte le cose belle della vita, anche il personal branding te lo devi sudare e guadagnare.

Ci vuole tempo, dedizione, passione, e molta ma molta pazienza, perché ci saranno momenti di sconforto durante i quali ti verrà voglia di buttare tutto alle ortiche e fare il concorso per personale ATA nelle scuole.

Ritornando alla metafora culinaria iniziale, possiamo dire che il Personal Branding è come il ragù: più cuoce, più è buono.
Attento a non bruciarlo, però.


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